TEMPO PER DIO

Una vita frenetica

La nostra società, soprattutto occidentale, è caratterizzata da una vita fre­ne­tica. Non c’è tempo per nulla, nemmeno per vedere i figli e ancor meno per parlare con loro. Non c’è tempo da condividere con il coniuge, per visitare i geni­tori, per socializzare con gli amici; non c’è tempo per tante cose che sareb­bero molti importanti da considerare e coltivare. Come razza umana, ci siamo legati con “obblighi vincolanti”, nel nome del progresso o del benessere materia­le, da aver messo da parte ciò che conta davvero. È come se avessimo anne­gato il vero significato della vita per lasciar vivere in noi un falso modo di con­cepire l’esistenza. E il peggio è che l’attuale generazione ha imparato a costruire un modello di vita che non assomiglia per nulla al modello divino, con il risultato di una società che non ha tempo per Dio.­­­­

Non che ora siano tutti diventati atei, no, non è questo; ma ciò che assor­be quasi del tutto l’interesse delle persone non lascia spazio per una vera fede. Si parla di Dio, si dice che c’è, ma non vi è tempo per lui.  È un modo per mettere a tacere la coscienza e mantenerla tranquilla, senza conflitti. Non si rifiuta Dio completamente, ma non si vuole neanche conoscerlo. Si può così forse raggiun­gere la vera felicità in questo mondo?

Ogni cosa ha il suo tempo e il suo impatto

Salomone ha detto: “C’è un tempo per ogni cosa, e un tempo per ogni faccenda sotto il cielo” (Eccl. 3:1). Se studiamo attentamente questo capitolo, scopriremo una lunga lista di eventi, situazioni e azioni che sono presenti nella vita dell’uomo e che ad un certo momento affrontiamo. Il saggio non presenta un elenco completo di tutto ciò che si vive in questa vita, ma cita alcuni esempi: “tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piantare e un tempo per sradicare ciò che è piantato; un tempo per uccidere e un tempo per guarire; un tempo per demolire e un tempo per costruire; un tempo per gemere e un tempo per ridere … “(Eccl. 3:2-4). Egli non giustifica neanche, né approva, le azioni che elenca, come l’uccidere, l’odiare, ecc., ma le nomina poiché comuni tra la gente del suo tempo.­­­­

Nel contesto del terzo capitolo, Salomone pone una domanda: “Che van­taggio ha il lavoratore dalla sua fatica? (Eccl. 3:9). Cioè, a che serve tutto ciò che facciamo in questa vita? Quale proiezione ha nel tempo ciò che io faccio? Che effetto produce, alla fine, nel mio cuore ed in quello degli altri? A conferma di ques­to modo di pensare si può andare al capitolo due, dove, in qualità di persona di profonda esperienza e col desiderio di aiutare il lettore, Salomone riassume la sua esperienza raccontando, con grande sincerità, tutto quello che ha fatto: pro­vare tutti i piaceri della vita (Eccl. 2:3,10); circondarsi di belle opere e beni ma­teriali (Eccl. 2:4-6); possedere servi, servi e molti animali, più di tutti i suoi pre­de­cessori a Gerusalemme (Eccl. 2:7); accumulare ricchezze smisuratamente (Ecc. 2:8), ecc. Un uomo che aveva dato il suo cuore e il suo tempo a Dio, im­provvi­samente decise di dimenticare tutto e di immergersi nei piaceri di questa vita.

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Sicuramente se Salomone fosse stato un uomo del nostro tempo sarebbe stato etichettato come uno di successo, una persona potente con la quale molti avrebbero fatto a cambio. Ma se analizziamo il suo libro (Ecclesiaste), che è co­me una confessione dei suoi errori e uno sforzo per aiutare altri a non fare la sua stessa esperienza, vediamo che la conclusione del saggio non ha nulla a che fa­re con la vera felicità e col successo: “Poi ho guardato tutte le opere che le mie mani avevano fatto, e la fatica che avevo impiegato a compierle; ed ecco, tutto era vanità e tormento di spirito, non c’era alcun vantaggio sotto il sole” (Eccl. 2:11). Vanità e tormento di spirito! Questa è la conclusione di una persona che ha avuto il tempo di fare tutto quello che voleva, tutto quello che la sua carne gli chie­­­­­deva, per ottenere tutto quello che i suoi occhi desideravano. Tempo per tutto tranne che per Dio. Vanità e tormento di spirito! È questa la condizione della nos­tra società?

Nazioni senza Dio

Gli antidiluviani bandirono Dio dal pianeta, non c’era tempo per la virtù, le buone opere, la fede e l’obbedienza, di conseguenza il loro degrado fu estremo: “E Dio vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni di­segno concepito dal loro cuore non era altro che male …” (Gen. 6: 5). Tutto quella generazione perversa perì sotto le acque del diluvio, ad eccezione di Noè e della sua famiglia. Gli uomini e le donne di Sodoma, Gomorra e le città vicine, erano caratterizzati da una vita senza Dio e da vizi contro natura (Giuda 7); alla fine, queste città furono spazzate dal fuoco e zolfo disceso dal cielo.

Le nazioni pagane che rigettarono la fede ebraica avevano fabbricato idoli che servivano con pratiche degradanti. Cananei, Assiri, Babilonesi, Egiziani, Medo-Persiani, Fenici, Greci, Romani … adoravano innumerevoli dèi a quali attri­buivano poteri straordinari: Moloch, Baal, Dagon, Astarte, Astaroth, Tammuz, Era, Atena, Afrodite, Adonis, Artemide, Horus, Zeus, Anubis, Amon, Iside, Shiva, Vishnu, Ceres, Jano e molti altri. Queste, ed altre civiltà e culture, brillarono per un tempo, ma finirono con lo spegnersi. L’impero romano, che fu quello che per­durò di più, a poco a poco fu eroso dalle invasioni barbariche e dalla profonda de­cadenza morale dei suoi dirigenti. Durante quel tempo, nacque il nostro Signore Gesù Cristo, il Messia annunciato dai profeti del passato. Egli doveva venire in questo mondo per presentare personalmente il messaggio d’amore di Dio al suo popolo.­­­­­­­­­­­­

Fu sotto la ferrea autorità romana e l’ostilità e indifferenza spirituale del popolo ebraico, che Gesù, il Figlio di Dio, stese la mano divina amorevole e mi­sericordiosa ad un mondo nelle tenebre; la sua opera fu preceduto da Gio­vanni il Battista, che preparò la strada (Lc. 1:7). Il messaggio era chiaro, pieno di speran­za e forte: ­“Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: Con­vertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt. 4:17). I romani non ebbero il tem­po per prestare atten­zione a questo “visionario esaltato”. Anche la nazione ebrai­ca respinse Cris­to e lo condusse alla morte. “Fuori, fuori, Crocifiggilo!” – fu la risposta – “Non abbiamo altro re all’infuori di Cesare” (Gv. 19:15).

La verità del Vangelo

Nonostante questo rifiuto, ci sono sempre state persone che hanno deciso di dare il loro cuore a Dio, accettando Cristo come loro personale Salvatore. Tra il popolo ebraico, il Signore ha scelto un gruppo di persone che hanno continuato la sua opera; così ha fondato il corpo mistico della Chiesa, essendo Egli il Capo (Ef. 4:15) e tutti coloro che lo amano le membra del corpo (Rm. 12:5). Da allora, il messaggio del Vangelo viene predicato ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo (Ap. 14:6). La domanda è: l’umanità ha tempo per Dio? Tu ed io abbiamo tempo per Dio, o al contrario siamo assorbiti da una serie di attività e cose che soffo­cano la fede vera?­­­­­

Ci sono più di due miliardi di cristiani in tutto il mondo; la fede cristiana è la maggioritaria, seguita dai musulmani. Il problema che si presenta ai moderni se­guaci di Cristo è che ci sono tanti gruppi e fazioni che sostengono di seguire la genuina fede cristiana ed è difficile quindi, per molte persone, discernere la verità dall’errore e prendere posizione. In mezzo a questo groviglio generico chiamato “Cristianesimo”, ci si potrebbe chiedere: Dove andare? Cosa credere?­

Gesù disse che Egli è la verità (Gv. 14:6); quindi l’accettazione della verità passa attraverso l’accettazione di Cristo come nostro Salvatore personale e l’assun­zione dei suoi insegnamenti. Si noti che a Pentecoste, quando Cristo era già asceso al cielo, i discepoli ricevettero lo Spirito Santo in modo da essere in grado di compiere l’opera affidata dal Maestro; l’attenzione va posta sul fatto che sia i discepoli che i nuovi convertiti “Erano assidui nella dottrina degli apostoli, nella comunione, nella frazione del pane e nelle preghiere” ­­(At. 2:42).

“Perseverare nella dottrina” è una chiara indicazione che la chiesa primi­tiva basava la sua fede sulla dottrina di Cristo, un insegnamento chiaro e definito. “Dottrina” si intende un insieme di idee o regole che disciplinano il modo di pen­sare o agire di coloro che le professano. Come è possibile, allora, che nel XXI secolo ci siano così tanti tipi di dottrine differenti all’interno del cristianesimo? So­no forse punti di vista che non influenzano la fede primitiva? Queste differenze mettono a repentaglio la nostra salvezza? È forse lo stesso che ognuno creda ciò che vuole basta che si ami Dio ed il prossimo? Se fosse lo stesso credere in ciò che si vuole, la Bibbia non insegnerebbe questo: “Chi va oltre e non rimane nella dottrina di Cristo, non ha Dio. Chi rimane nella dottrina, ha il Padre e il Figlio” (2 Gv. 1:9); neanche direbbe: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef. 4:5). Certamente è importante ciò che si sceglie di credere e da questo dipende la nostra vita presente e futura.

Il problema degli uomini di oggi consiste nel non avere tempo per studiare le proprie Bibbie nel timore del Signore. Questo li porta a non avere un spirito analitico, indipendente, profondamente biblico e fa sì che accettino come verità gli insegnamenti popolari delle chiese più numerose, senza opporvisi con un “così sta scritto”.­

Perché è così importante credere alla verità che Cristo ci ha lasciato? Perché solo la verità santifica (Gv. 17:17), ci rende liberi dal potere del peccato (Gv. 8:32), ci mostra la via per andare al Padre (Gv. 14:6), infonde in noi la vera gioia (1 Cor. 13:6). Migliaia di discepoli di Cristo sono morti per difendere la verità. Come possiamo oggi disprezzarla e calpestarla per gli interessi della unione di tutte le religioni o la mia convenienza personale? Perché le religioni si uniscano, siamo costretti a nascondere la nostra identità e trovare “terreno co­mune”, cioè ciò che ci unisce e non ciò che ci divide. Ma è questa davvero la volontà di Dio? “Possono due camminare insieme se non son d’accordo?” (Am. 3:3). La risposta è no!

Andiamo ad un esempio pratico. La Bibbia insegna chiaramente che il giorno del Signore è il sabato (Gen. 2:2-3; Es. 20:8-11). Israele ha osservato il sabato e le comunità cristiane dei primi secoli hanno fatto lo stesso fino a quando l’imperatore Costantino, nel IV secolo, ha cambiato la solennità dal sabato alla domenica. Quindi, non è una questione di qualcosa che sia accaduto con la morte e risurrezione di Cristo, ma molti secoli dopo. Con quale autorità? Nessu­na, solo perché Costantino era l’imperatore di Roma. Una parte del cristianesimo fu coinvolto in questa questione, sostenendola ed approvandola. Oggi la maggior parte dei cristiani nominali insegnano che la domenica è il giorno del Signore, anche se non hanno alcuna base biblica a sostegno. Non solo, ma attraverso sforzi sempre maggiori da parte delle chiese che osservano la domenica, si pre­tende imporre la domenica come giorno da osservare obbligatoriamente in tutto il mondo. Nell’enciclica di Papa Giovanni Paolo II, “Dies Domini”, si afferma quanto segue in relazione alla domenica:­­­­

“Per alcuni secoli i cristiani vissero la domenica solo come giorno del culto, senza potervi annettere anche il significato specifico del riposo sabbatico. Solo nel IV secolo, la legge civile dell’Impero Romano riconobbe il ritmo settima­nale, facendo in modo che nel « giorno del sole » i giudici, le popolazioni delle città e le corporazioni dei vari mestieri cessassero di lavorare. I cristiani si ralle­grarono di veder così tolti gli ostacoli che fino ad allora avevano reso talvolta eroica l’osservanza del giorno del Signore. Essi potevano ormai dedicarsi alla preghiera comune senza impedimenti”. ^(1)­­

In questo enciclica si dà per assodato che la domenica sia stato il giorno di riposo osservato dai primi cristiani, ma questo non corrisponde alla realtà. Non ci sono prove nella Scrittura a sostegno di questa affermazione, ma il fatto è che anche la maggior parte dei cristiani evangelici protestanti osservano l’istituzione cattolica della domenica, ad eccezione di alcune comunità che osservano il giorno di riposo originale, il Sabato. Ci sono altre dottrine, oltre alla verità del Sabato, che la maggior parte delle chiese cristiane ha abbandonato allonta­nan­dosi dalla Parola di Dio. Come possiamo capirlo se non studiamo le nostre Bibbie? I Bereani erano più nobili di quelli di Tessalonica, perché investigavano le Scritture con zelo, per comprovare le dottrine (Atti 17:

La nostra chiesa ha riassunto in principi di fede (37 punti) la dottrina che professa il gregge di Cristo sulla base dell’insegnamento biblico. Il dovere di ogni dirigente e guida del popolo di Dio è quello di insegnare alla gente ad abbraccia­re questi principi e viverli. Non è la stessa cosa credere a ciò che si vuole; o si abbraccia la verità o l’errore. La Bibbia non presenta mezze verità o dottrine fuor­vianti; questo è quello che vuole far credere il nemico. C’è il pericolo che lo spirito di eresia, confusione, apatia, abbandono, indifferenza e mondanità si in­troduca nella Chiesa di Cristo. Quando non si dedica tempo a Dio, la mente non può esse­re alimentata dalle verità eterne trasmesse dalle Scritture. Un credente che non si prende del tempo per approfondire la propria fede sarà facilmente ingan­nato dalle emozioni e dai sentimenti, poiché la fede non si basa su quello che tutti pensiamo, ma su ciò che la Bibbia insegna.­­­­­­­­­­­­­­­­­

I pionieri Avventisti pregarono, digiunarono e studiarono molto per com­pren­­dere la volontà di Dio per il suo popolo; soffrirono molta opposizione da parte delle chiese a cui appartenevano. Ma non gli importò, al sapere che stavano cre­dendo solo alla verità e non a comandamenti e dottrine di uomini. Con il tem­po si definirono le dottrine fondamentali della Bibbia e attraverso le assemblee dei de­legati provenienti da tutto il corpo mondiale, si concretizzarono in 37 prin­cipi di fe­de.­

Lo spirito di profezia sottolinea il fatto di difendere e proteggere con l’intero essere questi principi, farli nostri e viverli; di insegnarli poiché costituiscono la ve­rità di Dio che ci renderà liberi (Gv. 8:32) e perché in futuro l’umanità sarà divisa in due gruppi: coloro che osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù e quelli che li calpestano (Apoc. 14:12). Qui ci sono alcuni testi che lo confermano:

“Mi furono mostrati tre scalini: i messaggi del primo, del secondo e del ter­zo angelo. L’angelo che mi guidava disse: “Guai a colui che modificherà anche la più piccola parte di questi messaggi. La vera comprensione di questi messaggi è d’importanza vitale. Il destino delle persone dipende dal modo in cui questi mes­sa­ggi vengono accettati.

La mia attenzione fu di nuovo rivolta verso i messaggi e vidi a quale prezzo il popolo di Dio li aveva sperimentati. Erano stati accettati con grande sofferenza e forti scontri. Dio li aveva guidati passo dopo passo fino a quando erano stati posti su una piattaforma solida e inamovibile. Vidi degli individui avvi­cinarsi alla piattaforma ed esaminarne le fondamenta. Alcuni, con gioia, vi sali­rono sopra immediatamente, altri iniziarono a cercare dei punti critici; vole­vano che venissero fatti dei miglioramenti per rendere la piattaforma ancora più solida e le persone molto più felici.

Altri scesero dalla piattaforma per esaminarla e dissero che era stata fatta male, ma vidi che la maggior parte restava ferma sulla piattaforma, ed esortava quelli che erano scesi a smettere di lamentarsi, perché Dio ne era l’architetto e quindi stavano lottando contro di lui”.⁽²⁾

Conclusione

Abbiamo bisogno di tempo per Dio. Se spendiamo tempo, risorse ed ener­gie per questioni di secondo ordine, perché non prendere sul serio le cose che riguardano la nostra salvezza? In futuro, l’umanità sarà immersa nel disor­dine e nella confusione. Sarà molto difficile rimanere saldi nella Chiesa e abbrac­ciare i principi quando ci si esporrà al disprezzo, alla persecuzione e alla mi­naccia di mor­te. Ciò che ognuno di noi deciderà, lo stiamo preparando oggi.

­Il muro cade verso dove pende, quindi i futuri atteggiamenti dei credenti, di conseguenza, seguiranno le inclinazioni del presente. Se oggi, che godiamo di un prezioso tempo di pace, non ci consacriamo a Cristo e non ci prendiamo il tempo per una relazione con Dio attraverso lo studio della sua Parola, della me­ditazione, della preghiera, della partecipazione alla Chiesa ed appoggiando le attività missionarie, come pretenderemo di farlo durante una terribile pressione? Ora è il momento di dare priorità, di porre al primo posto ciò che ci avvicina maggiormente a Dio e al prossimo.­­­­­­­

Una volta un uomo di uomo d’affari di grande successo ricevette nel suo ufficio la visita di un vecchio amico. L’amico vide appeso alla parete un quadro con una scritta che recitava: Dio, famiglia, lavoro. Spinto dalla curiosità gli chiese: “Che cosa significa questo quadro?” L’uomo d’affari rispose: “Il mio tempo ogni giorno è diviso in tre sezioni: Dio, famiglia e lavoro. Per me, questo ordine di priorità è di vitale importanza ed è stato la base del successo della mia attività”.

Se si trascorrere del tempo con Dio, il rapporto con la famiglia sarà più soddisfacente e, pertanto, influenzerà positivamente il lavoro. Gli uomini e le donne amareggiati della propria vita privata sono meno efficaci professional­mente parlando; mentre coloro che godono di una buona salute spirituale cer­cano il modo di costruire famiglie equilibrate e felici e di essere responsabili ed efficienti nel lavoro. ­­­­

Caro lettore, trova il tempo di incontrare Dio; conosci Cristo, suo Figlio diletto, che Egli ha mandato per salvarci. Il modo migliore è studiando la sua Parola che è la storia del piano di salvezza. Dio ti benedica. Amen.  ­­

⁽¹⁾ Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Dies Domini, punto 64. https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/1998/documents/hf_jp-ii_apl_05071998_dies-domini.html 

⁽²⁾ Ellen White, Primi Scritti, ediz. (2006) 2012, p.264.

Pastore José V. Giner

Settembre 2016